lunedì 27 aprile 2009

Poi

Poi ci si ritrova con il computer sulle ginocchia e il culo sul divano a descrivere la propria posizione. Poi si fa tutto più chiaro, e credo che me ne importi sempre meno di abbinare la camicia alla cintura. Poi si cena?! Ho fame.

sabato 25 aprile 2009

Fenech: ovvero il tutto e il niente

Mi è stato gentilmente chiesto di disquisire sul nuovo concetto del Fenech. Se ne ignorano le ragioni, ma nel mio gruppo di amici tocca sempre a me formalizzare i nuovi concetti linguistici - forse perché sono stata proprio io la pioniera della formalizzazione, ma non dell'invenzione -.
Orbene, dicevo. Il Fenech. Premetto che non ero presente quando il termine è stato coniato. Ho tuttavia ricevuto la notizia del neonato per telefono e grazie alla messaggistica istantanea. Presumibilmente in data ieri, la nostra centralina neologica (più precisamente la sede distaccata della capitale) ha dato vita ad un nuovo concetto. Il Fenech, appunto. Gioisco che mi sia stata chiesta l'autorizzazione previa l'effettivo utilizzo. Ho dato un placet, ma con riserva. Gli concediamo uno stage per il momento.
Dunque, le cose sono andate più o meno così. Gruppo di persone che si ritrovano, probabili alcolici di media gradazione presenti. Ma non è detto. Improvvisamente salta fuori l'argomento Il Grande Cinema Italiano: il passo verso Edwige Fenech è scontato, immediato nonché baldanzoso. Ora. Si dovrà riconoscere che, dato l'argomento di ardua disquisizione, si possa chiudere un occhio di fronte a questi ragazzi che ancora non dispongono nei loro curricula delle lauree magistrali. Essi, rasentando l'ingenuità, non ricordavano nessun titolo dei capolavori in cui l'eccelsa attrice aveva omaggiato i registi con la di lei partecipazione. Non si deve però far passare inosservata la vivida intelligenza dei giovani neologisti, quando si tratta di eludere le lacune culturali. Questi ragazzi, autori del concetto di cui mi accingo a disquisire, hanno deciso di far sgorgare dalla loro fervida immaginazione titoli di pellicole immaginarie, in cui il cognome della cara Edwige d'oltr'alpe sostituiva idee di ogni foggia: Io, tu e Fenech, In viaggio con Fenech, Oltre il Fenech. Ecc. E sono esempi che mi sto a presente inventando. A maggior ragione: la versatilità del termine prende vita, già entra in funzione, in circolo, nel meccanismo a noi tanto caro, a noi, che vediamo il mondo in modo diverso. E che non ci basta il vocabolario di cui disponiamo (ed ammettiamo nostro malgrado di non conoscere il Devoto Oli - che unge al contatto - a memoria, ma neanche il Beato Angelico se è per quello). Fenech possiamo considerarlo come un termine di ampiiissima estensione, in cui, e Saussure ci darà ragione, per un unico significante, abbiamo un'infinità di significati.
Paradossi: la lingua ne risulta contemporaneamente arricchita e impoverita. Arricchita poiché grazie a Fenech possiamo esprimere anche idee che altrimenti resterebbero non sviluppate, ma allo stesso tempo impoverita. Non impareremo infatti ad usare termini già esistenti per dar vita ai concetti, utilizzando questo comodo passe-partout. Parlando per assurdo, se il fenomeno si espandesse diremmo solo Fenech per ogni attività oratoria e comunicativa. Ad esempio. Dialogo del 3000 d.C.:
- "Fenech!"
- "Fenech? Fenech!"
- "Fenech, Fenech...Fenech."
- "Fenech. Fenech."
Dunque, dunque, dunque. Con questo tricolon retorico connotato da ripetitività e piattezza, e non dalla crescita progressiva, possiamo riassumere il concetto di Fenech come:

Fenech: agg., sost., verbo s.-pl. m.-f. [B. D. R., AA. VV. Roma, 24/04/2009]. Termine eufemistico che elude la carenza conoscitiva di un argomento. In senso lato, può significare momentanei lapsus o la volontà di eludere un concetto, perché irritante o offensivo per l'interlocutore. Più semplicemente, a mo' di sberleffo, è possibile nominare Fenech qualsiasi concetto, solo per il gusto che se ne trae a cambiare il significante. Es. Guarda quel -! Ma non è troppo - secondo te? Prova quel -, è buono.

Fenech ancora deve fare carriera, ma il suo esordio rimane tuttavia interessante. Lo raccomanderemo a ghighi, vulps, culo affinché lo aiutino a districarsi nel difficile mondo dei neologismi. Che non si lamenti di vedersi affibbiati dei tiutors, fare le cose da soli diventa più complicato. Soprattutto se non ti nomina mai nessuno.

Black Trombone

Certi avvenimenti ridimensionano di colpo tutto il resto.

mercoledì 22 aprile 2009

Amargura

Buttò giù d'un fiato una tazzina di caffè amaro, ormai freddo. Due volte schifoso.
Si accese una sigaretta cercando di coprire immediatamente con uno più disgustoso il sapore del caffè. Quella bevanda scura e amara le aveva dato l'impressione di una pastiglia di antibiotico che si scioglie sulla lingua.
Aveva notato in passato che sulla superficie del caffè freddo si forma uno strato cangiante, come se il liquido si modificasse. Anche stavolta lo comprovò, piccoli particolari che in certe situazioni diventano sprazzi di consuetudine.
Fra le nubi dense di fumo, cercò di scorgere figure pronosticali, o solo un aiuto alla distrazione.
Guardò il posacenere: era coperto da una coltre di catrame. Pensava ai suoi polmoni. Li sentiva affaticati, ma li trattava come entità separate dal suo corpo, come se non le riguardassero.
Scansò un lembo della tendina verde bile della finestra di cucina: il cielo era cerumeo. L'amarezza di cui si fregiava era un vizio che si concedeva, alla stregua del fumo. Forse aveva deciso di non zuccherare il caffè per formalizzare quell'amaro in bocca. Le pareva che ogni membro del suo corpo fosse talmente deluso che il cervello era la meno.
Guardò sul dizionario e controllò la voce
Amaro, agg.
1 che è di sapore contrario al dolce: amaro come il fiele; mandorla amara; caffè amaro, non zuccherato | avere la bocca amara, avere cattivo sapore in bocca; (fig.) provare una delusione; lasciare l'amaro in bocca, la bocca amara, (fig.) lasciare deluso, insoddisfatto | inghiottire un boccone amaro, (fig.) subire impotenti un torto o qualcosa di spiacevole
2 (fig.) che dà dolore o pena; spiacevole: è stata un'amara sorpresa | che rivela dolore, amarezza:prorompere in una risata amara
Lasciò perdere le definizioni a cui sentiva di non corrispondere. La sua era un'amarezza speciale, quasi annoiata. Non aveva il diritto di sentirsi così, ma la possibilità, sì.
Lei, invece di reagire, si accontentò di quella sensazione di intensa amargura, così nera e presente che avrebbe potuto conversarci.

sabato 18 aprile 2009

Sta 'n fronte a tte

Mi sono procurata due versioni di Torna a Surriento, dopo una serata passata insieme ad un gruppo di napoletani e simpatizzanti della partenopeistica. Ad allietare l'atmosfera vari coretti in cerchio fra cui Te si' fatt' 'na vest' scullat'... e O surdat' nnammurat' - confesso: mentre impugnavo un bicchiere, mi sono lasciata struggere.
In seguito avevo proprio voglia di continuare a chiagnere lacrime napulitane, anche qui, seppur a chilometri di distanza dal Golfo, immaginandomi con un babà in mano e nell'altra una salvietta di Pronto legno e parquet mentre lucido il mandolino.
Ma nun me lassa', nun darme stu turmiento! Torna a Surriento, famme campa'!
Col cuore smezzato, si dimenticano camorra e spazzatura, si aizzano quegli stereotipi passionali che, se si risvegliano, hanno dopo tutto un fondo di verità. E in effetti ieri in autobus mentre le cuffie risuonavano un virtuoso do di petto non riuscivo ad afferrare la ragione per cui gli altri passeggeri non si stessero strappando i capelli né avessero gli occhi gonfi di pianto. Ma non capivano il dramma di vivere questa vita che ci pone di fronte una serie inesauribile di privazioni?? Mi era nato in petto l'istinto di alzarmi in piedi a pugni stretti e urlare Ma nun meeeee lassààààààààààààààààà...
Turmiento e Surriento, la rima più brividifera del canzoniere. Voglio dire, sfido chiunque ad ascoltare Torna a Surriento e non provare almeno dieci secondi di crepacuore. Visione apocalittica, ognuno se la interpreta come gli pare, e chi non ha voglia di rimembrare storie tristi si vada a far vedere.
Ma oggi mi sono spinta oltre. E ho scoperto con rammarico che questa canzone non è dedicata ad una donna amata, ma al Presidente del Consiglio in carica nel 1902, Giuseppe Zanardelli. Gli veniva chiesto di tornare a Surriento per risanare la situazione catastrofica della città. Che era evidentemente sgarrupata e priva di servizi. Maledetti. Potevate dirlo subito.

martedì 14 aprile 2009

Nudi e crudi

Sarò sincera: la sincerità è diventata insopportabile.
Fino a poco tempo fa essere sinceri aveva una valenza del tutto differente: era un semplice contrapporsi all'affermazione di qualcosa che non si pensa in realtà.
Oggi sembra che tutto sia permesso, giustificato solo per una spontaneità che puzza di stupidità concessa. L'omissione rispettosa, invece, non viene contemplata. Il tutto alimentato soprattutto da programmi televisivi discarica dirompenti dove personaggi sgambettanti e urlanti si riempiono le tasche giocando il ruolo di loro stessi. Brighella, Colombina e compagnia bella impallidiscono. È possibile essere riconosciuti e glorificati solo per essere quello che si è. Lo stesso avviene nella macchina divoratrice dei social network, dove ci mostriamo sinceri alla collettività sforzandosi di provocare invidia nell'altro, o, nella migliore delle ipotesi, lucidare la propria presunta eccentricità. E io lo so bene.
Ora: non sempre essere sé stessi è positivo. Anzi, non lo è mai, o almeno non con tutti. I segreti più infimi e più intimi conservati da ciascun individuo non sono da sbandierare. Non si capisce il motivo per cui oggi sembri tanto piacevole ostentarsi a trecentosessanta gradi, lasciando passare osservati i difetti. C'è qualcosa che non va. I pensieri dovrebbero essere filtrati, organizzati nonché contestualizzati. Le confidenze, le considerazioni profonde in cui davvero ci si scopre si fanno solo ai confidenti. "Con-fidente": qualcuno a cui diamo fiducia. E non mi sembra di assistere ad un fenomeno di aumento di fiducia nel prossimo.
È rivoltante continuare a sentire "Almeno siamo sinceri". Cosa vuol dire? La sincerità totale esisterebbe solo se si potesse veramente manifestare il flusso di coscienza. La sincerità, invece, non esiste, ci possiamo solo andare vicini. La sincerità me la friggo in padella. Una frittura diventata un valore di cui ci si avvale impropriamente. Si è trasformata nella ragione per cui spettacoli di cattivo gusto, offese indelicate e gratuite e, in particolare, la pochezza intellettuale sono con tranquillità legittimati. La vergogna di affermare una stupidità non esiste quasi più: è rimasta solo la paura del silenzio. Silenzio giammai mentale. Raramente si aprono le finestre delle tempie per far cambiare l'aria. Cambiamento silente. Le sinapsi abbondano e non ci dispiace manifestarne il prodotto, qualunque esso sia.
L'assenza di filtri ed il sottile piacere di ostentare la propria persona (ed una prova ne è anche questo stesso spazio che mi sono ritagliata, bisognerà che lo riconosca) ha provocato una psicosi dell'affermazione personale. Se una volta solo chi davvero aveva qualcosa da dire all'umanità lasciava il segno, adesso tutti quanti vogliono essere ricordati, in un modo o nell'altro. O almeno vorrebbero averne l'illusione.
E la convinzione di essere importanti ed in un certo senso 'migliori' non può che essere il rovescio di questa medaglia. Di più: le proprie affermazioni sincere diventano oro colato, l'espressione di un io regalato alla collettività. Il fatto è che nessuno poi si accorge che guardiamo solo noi stessi e non la sincerità degli altri, che tuttalpiù si limita ad offenderci. Voyeurismo forzato.
Non mi sembra che giriamo per strada nudi, ci mostriamo nudi solo con qualcuno. O al massimo per lavarci, e spesso chiudiamo a chiave la porta del bagno. Altrimenti, ci copriamo, e in fretta. Ma è proprio lo stato attuale delle cose. Miriadi di ignudi ignavi sono fra noi. La nudità intellettuale: non solo il corpo è vulnerabile e va coperto. Rischiamo di prenderci terribili raffreddori se scopriamo troppo il nostro pensiero.
Vi dirò: non mi conoscete. Né chi sa la mia vera identità e ancor meno chi vede solo il mio naso qui. Ed il luogo e la circostanza mi fanno sentire giustificata, sento di non cadere in contraddizione. Qui dentro sono una persona fittizia, che non può essere sincera per contratto, perché ha deciso un bel giorno di indossare una maschera.
Non siate sinceri con me. O meglio, siatelo, ma solo dopo averci pensato bene.


La culture est comme la confiture: moins on en a, plus on l'étale

lunedì 13 aprile 2009

That's good, bad or mediocre

Situazione ovattata del buio misto a catarifrangenti. Sedile del passeggero, come un malore passeggero. Improvvisamente trasmettono questa canzone per radio. Non credevo alle mie orecchie. Stavo sonnecchiando, non so se me lo sono immaginata.
- Hey Janet...
- Yes Brad?!
- I've got something to say...
- Uhuh?
- I really loved the skillfull way you beat the other girls to the bride bouquet.
- Oh! Oh, Brad...

sabato 11 aprile 2009

Dai!

enerdì di scherzi temporaleschi, riflessioni sulla vita di fronte a un panino e a un Estathè (la Ferrero ci va giù pesante coi giochi di parole) e di acquisti inutili - la giusta commistione di rutìn e sorprese.

Le solite perle di banalità a cena con i parenti apparenti (ovvero che appaiono una volta all'anno).
Qualcuno gonfia un aneddoto che mi riguarda: lo contraddico, sminuisco.
Arriva, attesa, la solita domanda annuale: "Allora quante lingue parli?", nemmeno si dovesse riempire l'album delle figurine. E si mettono lì a contare sulle dita. Come fossi l'unica. Oddio, forse in famiglia sì. "Dai parlaci in..." ma se avete il satellite a casa, perché non vi sintonizzate ogni tanto su un canale straniero? Sono più convincenti di me. E non hanno capito che c'è passione e voglia di scavare, il curriculum non c'entra.

Per fortuna quasi più nessuno ha ancora il coraggio di pormi la fastidiosa domanda "Allora dipingi?! Ma quanto dipingi?" Dai, riattacca tu. Sono uscita dal tunnel dei colori a olio all'età di dieci anni, non che mi sia evoluta, ma è stata una semplice emulazione, a quel tempo. Una bambina mezzo prodigio che è diventata una mezza cogliona, e certi giorni non scommetterei su quel restante cinquanta percento. Ho fatto tre cose buone in questi anni vita, e non si sa il motivo per cui mi piovano in testa elogi senza senso, e che non sento di meritare quasi mai, perché riconosco la mia mediocrità. Forse non si è manifestata bene perché ogni anno si ricordano solo le cose buone. D'altra parte sono le uniche che i parenti apparenti vogliono sentire, per il resto, ignorano. O meglio: non si interessano minimamente a me in maniera universale. Non che desideri ricevere domande approfondite: non so se capirebbero, o se io avrei voglia di dire la verità. Vorrei solo poter stare in silenzio visto che non mi va di raccontare.
Le domande di circostanza ve le potete tenere, le mance, invece, sono sempre ben accette.

Per finire: ultime immagini del disastro in tv. Commento di mio padre: "Chissà quando sarà la prossima tragedia. Ora tutti lì, alla prossima ci butteremo tutti da un'altra parte. Sembra il funerale di un parente, non ti cachi mai poi vai lì quattro baci, quattro cazzate e poi si torna tutti a casa"

venerdì 10 aprile 2009

Poggiobucafapiano


---------------------------------------------------- Tranquillità interiore



|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||| e gli spunzoni della realtà esterna





Il bilancio di questo periodo risulta alla pari, ma la pianura non permette di immaginare l'orizzonte

lunedì 6 aprile 2009

FinZione

Un conto è avere un'identità fittizia: il patto è chiaro, la finzione è manifesta. Un altro invece è usare la propria identità in maniera falsata, costruita, addossarsi un personaggio con un nome e un cognome veri, ed in modo solo in parte innocente.
Non ci sto più, in piazza ci metto quello che voglio io, e con chi voglio io, se mi firmo con il mio nome di battesimo. In piazza mi ci vedrete sempre meno.
Vi vengo a bussare alla porta, e converseremo sul divano davanti ad una tazza di tè, non parlerò mai più col megafono.

venerdì 3 aprile 2009

Ça va?










Ouais ça va. Tout va bien car j'ai arrêté d'aspirer à la perfection

© E. Munch