martedì 14 aprile 2009

Nudi e crudi

Sarò sincera: la sincerità è diventata insopportabile.
Fino a poco tempo fa essere sinceri aveva una valenza del tutto differente: era un semplice contrapporsi all'affermazione di qualcosa che non si pensa in realtà.
Oggi sembra che tutto sia permesso, giustificato solo per una spontaneità che puzza di stupidità concessa. L'omissione rispettosa, invece, non viene contemplata. Il tutto alimentato soprattutto da programmi televisivi discarica dirompenti dove personaggi sgambettanti e urlanti si riempiono le tasche giocando il ruolo di loro stessi. Brighella, Colombina e compagnia bella impallidiscono. È possibile essere riconosciuti e glorificati solo per essere quello che si è. Lo stesso avviene nella macchina divoratrice dei social network, dove ci mostriamo sinceri alla collettività sforzandosi di provocare invidia nell'altro, o, nella migliore delle ipotesi, lucidare la propria presunta eccentricità. E io lo so bene.
Ora: non sempre essere sé stessi è positivo. Anzi, non lo è mai, o almeno non con tutti. I segreti più infimi e più intimi conservati da ciascun individuo non sono da sbandierare. Non si capisce il motivo per cui oggi sembri tanto piacevole ostentarsi a trecentosessanta gradi, lasciando passare osservati i difetti. C'è qualcosa che non va. I pensieri dovrebbero essere filtrati, organizzati nonché contestualizzati. Le confidenze, le considerazioni profonde in cui davvero ci si scopre si fanno solo ai confidenti. "Con-fidente": qualcuno a cui diamo fiducia. E non mi sembra di assistere ad un fenomeno di aumento di fiducia nel prossimo.
È rivoltante continuare a sentire "Almeno siamo sinceri". Cosa vuol dire? La sincerità totale esisterebbe solo se si potesse veramente manifestare il flusso di coscienza. La sincerità, invece, non esiste, ci possiamo solo andare vicini. La sincerità me la friggo in padella. Una frittura diventata un valore di cui ci si avvale impropriamente. Si è trasformata nella ragione per cui spettacoli di cattivo gusto, offese indelicate e gratuite e, in particolare, la pochezza intellettuale sono con tranquillità legittimati. La vergogna di affermare una stupidità non esiste quasi più: è rimasta solo la paura del silenzio. Silenzio giammai mentale. Raramente si aprono le finestre delle tempie per far cambiare l'aria. Cambiamento silente. Le sinapsi abbondano e non ci dispiace manifestarne il prodotto, qualunque esso sia.
L'assenza di filtri ed il sottile piacere di ostentare la propria persona (ed una prova ne è anche questo stesso spazio che mi sono ritagliata, bisognerà che lo riconosca) ha provocato una psicosi dell'affermazione personale. Se una volta solo chi davvero aveva qualcosa da dire all'umanità lasciava il segno, adesso tutti quanti vogliono essere ricordati, in un modo o nell'altro. O almeno vorrebbero averne l'illusione.
E la convinzione di essere importanti ed in un certo senso 'migliori' non può che essere il rovescio di questa medaglia. Di più: le proprie affermazioni sincere diventano oro colato, l'espressione di un io regalato alla collettività. Il fatto è che nessuno poi si accorge che guardiamo solo noi stessi e non la sincerità degli altri, che tuttalpiù si limita ad offenderci. Voyeurismo forzato.
Non mi sembra che giriamo per strada nudi, ci mostriamo nudi solo con qualcuno. O al massimo per lavarci, e spesso chiudiamo a chiave la porta del bagno. Altrimenti, ci copriamo, e in fretta. Ma è proprio lo stato attuale delle cose. Miriadi di ignudi ignavi sono fra noi. La nudità intellettuale: non solo il corpo è vulnerabile e va coperto. Rischiamo di prenderci terribili raffreddori se scopriamo troppo il nostro pensiero.
Vi dirò: non mi conoscete. Né chi sa la mia vera identità e ancor meno chi vede solo il mio naso qui. Ed il luogo e la circostanza mi fanno sentire giustificata, sento di non cadere in contraddizione. Qui dentro sono una persona fittizia, che non può essere sincera per contratto, perché ha deciso un bel giorno di indossare una maschera.
Non siate sinceri con me. O meglio, siatelo, ma solo dopo averci pensato bene.


La culture est comme la confiture: moins on en a, plus on l'étale

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