domenica 19 febbraio 2012

Gentilissimi

La signora era rimasta sola, il gruppo della gita organizzata in Costa Azzurra l'aveva lasciata indietro o forse s'era persa lei direttamente; l'abbiamo trovata che parlava italiano a un ausiliario del traffico nizzardo, lui le diceva "Faut appeler le groupe Madame" senza capire di preciso il suo caso e mentre la guardava un pochino la spingeva con il braccio, ma sempre cortesemente, allora a quel punto ci siamo avvicinati chiedendo se ci fosse bisogno di ajuto. L'ausiliario del traffico e non notoriamente delle vecchie italiane ce l'ha sbolognata di buon grado, consigliandoci prima di metterci sul marciapiede pour notre securité. Alla fine, con un telefono locale da noi gentilmente offerto, riesce a chiamare il gruppo (evidentemente non faceva il +39 davanti a un modernissimo 335) e urla MARIA!! DOVE STATE??? Io credendo di star vedendo un film sono scoppiata a ridere e mi sono un po' nascosta. Signora io glielo devo proprio dire qui, non ho modo di ricontattarla, non ci sono più abituata a sentire berciare Maria al telefono per la via e la mia era una risata suscitata dal sentimento del contrario e non per una qualche presa di culo sterile.
Fatto sta che si dà appuntamento con gli altri vèci, o gruppo misto tendente al vècio e salutandoci con l'emozione in bocca ci fa "Anch'io ho tanti nipoti come voi... uno è avvocato, l'altra è dottoressa... tutti laureati eh! Tutti ragazzi della vostra età: 30, 28 anni..." e io "Signora, io ho 26 anni"
E menomale che non le ho detto che devo ancora scrivere la tesi, sennò stasera col cazzo che dice una preghiera per me.

venerdì 3 febbraio 2012

Kefiati, che fiati!

Ai nostri tempi, che erano ieri e dieci minuti fa, si era o tópi (una specie di fighettismo dispregiativo che include pochissima intelligenza, ad Arezzo chiamati anche "pottoni") o fricchettoni, un'evoluzione di fascisti vs comunisti, brindelli sbriciolati degli anni '70. Si saltava la scuola e si andava alla manifestazione dei lavoratori, più che altro per saltare la scuola ma mica lo ammettevamo! Si sapeva tutti che era per quello ma ci nascondevamo dietro ideali più grandi di noi. E che ci appartengono ancora, ma siamo diventati solo più sinceri con noi stessi.
Portavo con fierezza dei pantaloni sbrindellati, i maglioni a cazzo di cane, le camicie vecchie della mi' mamma e le scarpe bucate che d'inverno mi venivano i geloni, ma non ho mai comprato la kefia, perché era troppo forte e non volevo coprirmi di simboli. Mi dicevo che ci voleva un bel po' di fegato per sbandierare le proprie idee così: sotto sotto sapevo che non avrei saputo argomentare fino in fondo. Che onestà, Madonna! Come se chi la portava sapesse realmente argomentare! Ma c'era una ragione ben precisa per cui uno sfoggiava la kefia. Era certo un tipo di moda, ma una moda un pochino più nobile.
Stasera alla lezione delle tre e mezzo con la sgolatissima troisième cinq, (età: prima superiore), c'era al solito un ragazzino, simpatico e energico e che alla lunga snerva, un po' il Fiorello della classe, che si mette sempre in mezzo a tutti a far casino, e che porta fisso una kefia, quella del tipo bianco e nero. Oggi ho deciso di indagare che aria tira fra i quattordicenni francesi del sud. Ma sono convita che il dialogo avrebbe potuto tenersi in qualsiasi altra parte del mondo.
Gli chiedo (traduzione simultanea):
 - "Che cosa porti al collo?"
 - "Prof, è una sciarpa"
 - "Lo so che è una sciarpa, grazie, ma che cos'è?"
 - "È solo una sciarpa! Cosa mi chiede? Dove vuole arrivare?"
 - "Perché porti questa sciarpa?"
 - "È per coprirmi il collo, prof!"
 - "Ma non lo sai che è un simbolo? Davvero non lo sai? Non sai che cosa rappresenta?"
 - "No, non lo so."
 - "Ma come, E.! Proprio tu! Ti devi informare!"
E adesso quarantenni dite qualcosa su di me, che a voi ci pensano i sessantenni.