venerdì 11 marzo 2011

Il cammino della scienza

"Si muova! Si sbrighi a portarmi quel foglio, cosa sta facendo, non stia a perdere altro tempo!"
Con quel foglio si poteva vedere finalmente stampato nero su bianco il risultato finale di quell'esperimento, di quell'agghiacciante prototipo provato su candidi roditori, e l'ultima settimana su cavie umane sottopagate. Che però non si erano lamentate, dato l'esito positivo del test.
Il dottor E. aspettava che il trafelato assistente gli portasse l'attestato ufficiale che gli avrebbe permesso di depositare il brevetto di quel macchinario a cui lavorava da praticamente tutta la vita. Gli era venuto in mente il progetto già da giovanetto, e si era messo nel mondo della scienza per arrivare lì, in quel giorno di svolta epocale nella sua carriera di dottorone. 
Aveva da sempre avuto il fastidio di farsi rovinare l'umore da quisquilie che gli altri non capivano; in generale per carattere era allegro, ma quando gli si alterava questo delicato equilibrio i crucci gli si depositavano dentro come un graffio su un oggetto nuovo, e non c'era verso di farlo tornar contento. Non riusciva a mettere da parte le sensazioni, accantonarle una buona volta. L'unico metodo era aspettare che finisse la giornata, che se ne andasse a letto per poi iniziare daccapo la mattina dopo sperando di aver dimenticato tutto. Era l'unico rimedio che aveva da sempre poututo sperimentare, perché niente: alcool, distrazioni, barzellette, una visione per la strada, niente riusciva a farlo tornare come prima, ad un livello di serenità alterato da fastidi inutili, che i meno sensibili neanche immaginavano. E ovviamente ci soffriva quasi fisicamente, come fosse affetto da una malattia. Da razionale com'era nato, non poteva di certo soprassedere ai suoi sentimenti, ai suoi moti d'umore, a queste livide e ridicole espressioni umanistiche che avevano riempito tante pagine a vuoto. L'uomo non aveva imparato niente, aveva solo saputo dare un nome a quelle "cose"; che immenso spreco di tempo, ma forse necessario. Spleen, paranoja, tristezza, rabbia, inutilità che non facevano progredire, né indietreggiare. Il suo era un semplice passo avanti che avrebbe, a detta sua, portato ad un altro livello la risoluzione di tutta quella spinosa questione.
E quindi il dottor E. aveva inventato una macchina per controllare le emozioni, convinto che la vita sarebbe stata molto più facile e che niente avrebbe potuto più rovinargli l'umore.
Poveretto, non si rendeva conto mica che ben più dei poeti aveva dato importanza alle emozioni, le aveva anzi messe al primo posto nella sua vita, convinto che schiacciarle significasse finalmente ignorarle.

1 commento:

stealthisnick ha detto...

questi scenziati, che brutta gente