mercoledì 7 luglio 2010

Approfitto dello stato di ebbrezza. Poi domani chissà.

Stasera sono rincasata stordita. Non succedeva da tempo ormai. E infatti qui di seguito un discorso che si addice a una persona stordita, o forse solo più lucida. L'avrei potuto fare oralmente, invece mi trovo a scriverlo. Siamo andati via di fretta, e avrei preferito stare a chiacchierare. Cosa pretendere, da figlia unica so benissimo sbrigarmela da sola, in questi casi. 

Ho cambiato sigarette, ma stasera ho quelle di una volta, quelle di tutta una serie di anni passati a fumare come un'imbecille, di quelle sigarette che fumi e dimentichi. E ho capito una cosa. Ho capito che voglio un interlocutore con cui poter essere fraintesa. Il fraintendimento è la mia meta. La mia metà. Quale lusso pretendere qualcuno con cui dire e disdire, in uno scambio pari di motteggi costruttivi, distruttivi, istruttivi. Per scavare in fondo a sé stessi nella più completa sincerità, nella più completa connessione, nel più completo rispetto. Senza giudizi, senza facce storte. So di essere perfettamente in grado di farlo. Quando uno deve render conto o dimostrare qualcosa, o cambiare per essere accettato, anche di poco, che immensa sconfitta. Per fortuna la vita mi ha regalato anche persone con cui questo procedimento avviene. Ma non con tutti funziona, e questo mi fa sentire oltremodo frustrata.

Che noja dover aspettare sempre il due più due. A volte si ha la sensazione di dire e comportarsi solo in parte, quando ci vorrebbe così poco per darsi completamente. Poi però, la paura degli altri, la derisione, l'esclusione. L'etichetta, le norme sociali. Mi sento a volte così frenata, e so che potrei dare molto di più, se solo dicessi tutto quello che mi passa per la testa. O se lo facessi. Poi mi dico no, bisogna che il pensiero e gli atti vengano filtrati da quel briciolo di razionalità che  mi resta. E nonostante tutto non mi sento ridimensionata, in linea di massima mi sembra di offrire agli altri la stessa immagine che ho di me stessa. Ma poi...poi resta un'amarezza di fondo, un'amarezza che conosco, e che non dò a vedere tanto spesso. Il problema è l'immagine che si ha degli altri. Ci costruiamo un mausoleo di chi ci sta di fronte, ci appoggiamo a un'iconografia indistruttibile di chi ci circonda. Ma non è così. Tutti abbiamo bisogno di cantare, di dire, di fare, di offrire le proprie qualità, di migliorare i propri difetti. 

Sai cos'è. Che bisogna minare la propria coerenza. Se uno è sempre ironico, allegro, va a finire che non si riesce a far pesare la propria serietà, e ogni atto o parola viene scambiata per ironica. Se, al contrario, si è sempre seri, nessuno ride alle tue battute. Non che le persone ironiche non siano degne di rispetto, di gravità: ma questo solo chi è intelligente lo sa. Per il resto, si approfittano di te e della tua allegria costruita. Trovare una via di mezzo non è facile, ma è sempre possibile offrire uno spiraglio di quello che si è, veramente. Le persone gravi sono in realtà dei giocosi che hanno paura di esser presi in giro, dei timidi. I simpaticoni sono dei timidi che usano qualsiasi strumento per intrattenere gli altri, che ti chiedono solo di farli ridere. Così uno si tiene per sé gli ingombri, che pesano, crescono, pesano, non esternati non hanno forma, non hanno nome. Il vizio della battuta. È un orribile vizio.

Pensare di dover sempre creare una comunicazione lineare mi pesa, e non poco. Quando hai perfettamente cognizione di poter sgravare tutto ciò che ingombra, senza pretendere di dover dare spiegazioni accurate, e ad ogni modo non farlo, quella è la vera violenza. Quella è la vera vita a mezzo. Perché a volte sembra ci si vergogni perfino di vivere, e il bene che si vuole agli altri è come limitato, limitante, perché sai bene che non dai tutto te stesso. Diventa come prendere in giro il prossimo a metà. Non è così?

Mi dovrò sentir dire che non ho ragione, e invece sono convinta che noi tutti viviamo a metà. C'è il nostro piccolo mondo non condiviso, quello che abbiamo nella testa come una verità imprescindibile e assoluta, che usiamo come metro di paragone per tutto ciò che accade. Poi ci sono le chiacchierate del più e del meno, dove si ha la sensazione di non esser soli. Poi ci sono le persone che ti sono vicine, che con uno sguardo sanno guardarti a fondo, e con una parola hanno già capito tutto. E quando si inizia a parlare beh, sei cresciuto di almeno tre chili.

Ci sono poi le persone con cui si parla d'amore, e non sono tante. Parlare d'amore. Che lussi. Con i diretti interessati, come una breccia in ciò che più è importante e avviluppato in un certo nucleo strano, che non si sa spiegare eppure chiarissimo. Poi ci sono quelli con cui si parla d'amore per massimi sistemi, e non si arriva a nessuna conclusione, solo ad un'affinità di intelletti. E poi ci sono quelli che ti stanno a sentire, quei santi a cui affidi gli scleri più incomprensibili e che poi saluti di fretta perché devi andare a farti la doccia.

Così è, e il mio problema più grosso, mi dispiace ammetterlo e peccherò di presunzione, è che non ho mai saputo essere veramente stupida.

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