domenica 20 dicembre 2009

Ajutati che Dio t'ajuta.

Per l'autorità da me a me concessa dichiaro ufficiale nell'italiano scritto la reintroduzione della "j" (pronunciata singolarmente i lunga o jota e non gei, grazie) intervocalica, almeno in questo inutile e sconosciuto spazio dell'etere.
Perché? Perché scegliere questo argomento apparentemente fuori luogo e da pusillanime ignara dei reali problemi mondiali? Perché fare una scelta simile in tempi in cui si potrebbe discutere di statuette ematofere e di tutto quello che comportano? O del Natale, o della neve? O della crisi, o delle guerre, o dell'ambiente?

Attenzione, vi svelerò un segreto: la reintroduzione della "j" intervocalica è una questione di importanza non sottovalutabile. Così come qualsiasi altra scelta linguistica, che non è MAI innocente né da trascurare. Le lingue possono discriminare, allontanare, descrivere, raccontare fatti comodi e scomodi, insultare, confessare, adulare, mentire, manipolare, rincoglionire, vendere eccetra eccetra. Dopo il corpo, la lingua madre è l'unica cosa che realmente possediamo. Le lingue sono un'arma potentissima e chi non lo pensa o non è sano di mente o è analfabeta - e quindi disarmato. Ed ogni piccola questione che le riguarda è di natura importante e delicata, e la mia ironia assicuro che viene sinceramente meno.

Controllando nell'autorevolissima Wikipedia si scoprono particolari agghiaccianti circa la ghettizzazione di questa lettera, poco considerata anche in campo strettamente scientifico:

La lettera J faceva parte dell'alfabeto italiano, ma fu rimossa nel secondo ottocento. In italiano pochissime parole italiane (jella, jota, fidejussione, juventino....), conservano la J, inoltre essa viene usata in alcuni anglicismi: fino al XIX secolo essa poteva essere usata al posto di I nei dittonghi, per indicare una i geminata finale (-ii), o nei gruppi di più vocali (come nella parola Savoja). Essa viene ancora usata, infine, per rendere il suono [j] che in alcuni dialetti sostituisce la -gl- dell'italiano ufficiale (come nel romanesco ajo per aglio).
Curiosità

(il grassetto è mio)

Ormai relegata alle forme scritte di alcuni dialetti e all'alfabeto fonetico, la semivocale in questione soffre come un fantasma del passato e langue uno spazio dove poter continuare a guardare il lettore con la sua coda elegante di pirandelliana memoria. L'italiano ha subìto trasformazioni che lo hanno reso più semplice ma purtroppo più standardizzato e sicuramente esteticamente meno bello. Tale lettera soccombette alla più banale "i", passe-partout per qualsiasi suono, stridulo come semivocalico.
In un'era dove il progresso corrode i cervelli - anche se questa idea ce la portiamo dietro dalla Rivoluzione Industriale: c'è caso che se andiamo a fare una TAC si scopre che la nostra scatola cranica è vuota e si stava meglio quando si stava peggio -, ecco da parte mia un flebile segno di maestria grafica che viene dagli anni che furono. Perché una volta tanto si possa decidere cosa è giusto e cosa no, in maniera del tutto arbitraria (non dimentico lo slogan Diamo potere ai singoli parlanti).
Un nuovo punto di partenza, che potrebbe spazzar via tutte queste i, da qualcuno sbandierate a trio (la i come simbolo di una certa tendenza di progresso puzzolente, internet, inglese, industria), così deboli, così abusate, così magre e stantie.
Ajutati, che Dio t'ajuta.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Concordando appieno sulla rivitalizzazione della jota, avrei altre questioni da sottoporre alla Sua autorità per eventuali ulteriori modifiche con cui migliorare il nostro amato italiano:
- introduzione di una forma di cortesia che non confligga con la terza persona singolare (o la seconda plurale, secondo la provenienza del parlante); grazie alla quale si eviterebbero impacci, imbarazzi, equivoci e ambiguità assortite.
- abolizione della terza persona plurale come forma impersonale ("mi hanno rubato il portafogli", "mi hanno tagliato la strada", "mi hanno detto di dirti", "mi hanno telefonato"), quando il soggetto è chiaramente singolare; per questo scopo esiste già la forma passiva, ben più rispettosa della realtà.
- abolizione dell'uso del futuro e del futuro anteriore per esprimere ipotesi sul presente o sul passato: "senti che rumore, sarà il vento", "alla riunione saremo stati una decina", "avrà fatto qualche sgarbo a qualche industria di caffè"; il condizionale esiste, diamogli un'opportunità.

Certo di un cortese riscontro, saluto e ringrazio.
'gniffo

NêZ ha detto...

Grazie a te per l'interVento. Mi rallegra che qualcun altro appoggi la reintroduzione della "j".
Veniamo ai punti che mi hai esposto, per ordine.
- Credo che esistano svariati modi per dimostrare cortesia al prossimo: mancanza di invadenza, delicatezza degli argomenti, toni poco aggressivi. Però penso che a fianco a questi atteggiamenti sia necessaria una forma che li renda espliciti in maniera più accentuata, per indicare linguisticamente il rispetto verso l'altra persona. L'italiano sta già perdendo la forma di cortesia del "lei", basta andare in un negozio qualsiasi e sentirsi dire sempre più spesso Ciao entrando e Cosa ti serve, e sinceramente so che siamo tutti sulla stessa barca ma fra un po' ci prendiamo a paccate sulle spalle fra sconosciuti. È una maniera subdola di sentirsi (o comportarsi da) ggiovani. A mio parere le ambiguità nascono nel momento in cui questi "paletti" vengono meno. Ammesso che non siano usati ironicamente.
- Concordo invece sulla terza persona plurale come forma impersonale: da abolire. Decisamente un modo per dare la colpa a tutti e a nessuno, ottima scappatoja, ma in caso di merito invece sarebbe deleterio.
- Forse il futuro e il suo anteriore sono una specie di condizionale col beneficio della predizione: "senti che rumore, sarà il vento". Se poi era proprio il vento, beh, è come se l'artefice, quasi lo scopritore fossi proprio tu, è come se si volesse decidere l'epilogo della frase. Il condizionale scredita il parlante, ma si attiene di più alla realtà dei fatti, bisogna riconoscerlo.

Tanti cari saluti