giovedì 4 agosto 2011

L'incredibile storia di uno che non conoscevo

Vedi bellino lui
"Evariste Galois morì a ventunanni e fu uno dei maggiori matematici dell'epoca moderna. Probabilmente visse disperato. Quando tentò di entrare nell'isola dei beati, l'Ecole Polytechnique (il sogno per un ragazzino preso dai numeri e dal gioco delle equazioni), fu respinto per ben due volte - pare perché i professori che lo esaminavano non riuscivano a capirlo. Qualcuno dice che fosse il suo stesso entusiasmo a confonderlo: smarriva la chiarezza dell'eloquio. Sta di fatto che dopo essersi piegato alla minore Ecole Normale (uno smacco per Evariste) fu preso dagli astratti furori della rivoluzione (ed era il 1830, la cacciata di Carlo X, la Repubblica, l'arrivo proditorio di Luigi Filippo). Ne venne quello che sempre accade alle anime sublimi: pagò anche per gli altri. Venne cacciato dalla scuola perché, repubblicano, si era preso l'impudenza di attaccare il Direttore dell'Ecole Normale - lui sì troppo burocrate e prudente, se non vile dinanzi agli eventi del tempo. Evariste fu arrestato due volte per motivi politici. Passò in carcere il maggior tempo dell'ultimo anno e mezzo di vita.
Ritratto di Poisson all'età di 42 anni
Nel 1829, a diciottanni, presenta all'Académie des Sciences un doppio lavoro sulla risolubilità delle equazioni. Ma Cauchy, altro esimio matematico, chissà come lo perse. Un anno dopo, sempre per l'Académie, Evariste riscrive tutto, con destinatario questa volta il segretario Fourier, che però da lì a poco muore. Anche questo lavoro andrà smarrito. Sembra un charma [sic], una fattura che non recede. Nel '31 (e siamo ormai alla fine), su suggerimento dello stesso Poisson, che è relatore all'Académie, propone una nuova sintesi, Sur les conditions de résolubilité des équations par radicaux. Ma com'è il mondo e cosa non fanno gli amici! Poisson gli risponde piccato che lo studio è incomprensibile e che va rifatto: insomma, che lui non intende impegnarsi come si dice in questi casi con macabra gentilezza. Galois, per quasi tutto il '32 è in carcere. Un fallito, un sognatore; forse un disadattato. Alla fine esce. Poi, per le solite ottocentesche questioni di onore e di operetta, di guanti sfoderati e subito calzati con uno strappo nella nebbia torva dell'aurora, si ritrova coinvolto in un duello da cui (e lo sa bene) non potrà salvarsi. Quel 28 maggio deve essere stato un giorno ghiacciato, un'ora demente e paralitica, così come vuole il copione. Evariste, il sognatore dell'algebra moderna, verrà ferito gravemente. Due giorni dopo, il 31 maggio 1832, muore.
[…] Galois è un condannato. Percepisce la clessidra, il soffio dei grani che cadono. Scrive, annota, prende appena può le scorciatoie: deve sbrigarsi. Con un inchiostro trasparente ma indelebile stringe sotto le sillabe, lungo i fili delle x o di un geroglifico di radici quadrate, qualcosa che urla come un gabbiano smarrito - e che ovunque è l'identità della giovinezza al morire. Nella trasparenza del blu di Prussia, quasi fosse un ultimo sogno vangoghiano, scorre alla fine latente quella frase minuta e penosa (un soffio di respiro calmo nell'orecchio) "non ho tempo, non ho più tempo per questi calcoli… ma, credetemi, è tutto vero"."


Tratto e scritto con estrema enfasi da Arnaldo Colasanti ne L'ultima notte della vita

2 commenti:

stealthisnick ha detto...

che ambientino
cauchy, poisson e fourier

bello il ritratti di poisson
me lo figuravo proprio così

NêZ ha detto...

Mi viene un po' in mente il corridojo dove riceve la mia mansuetissima, se vogliamo esagerare, professoressa.