Conosciamo il buio, ma non sappiamo cosa contenga. O meglio: non vediamo cosa contiene. La conoscenza del mondo avviene per noi poveri illusi soprattutto attraverso la vista; le nuove politiche comunicative ci vogliono oltretutto far credere che "vedere" è "sapere".
C'è da fare qualche precisazione. Innanzitutto, le immagini mediatiche sono uguali per tutti, il sapere trasmesso è un semplice travaso di informazioni grossolanamente rielaborate dal nostro cervello. In secondo luogo va detto che dopo tutto, qualsiasi immagine vediamo è comunque personalissima, lo è il punto di vista, ciò che suscita, l'importanza che le diamo ecc. Dunque, la valenza delle immagini che vediamo, grazie alla luce, o quelle scaturite dalla fantasia nel buio sono solo un prodotto mentale esclusivamente soggettivo.
Il buio diventa uno spazio da riempire, non riusciamo a concepirlo come semplice assenza di luce. L'oscurità diventa un atto di fede obbligato: esistono oggetti, animali, gli spazi di sempre oppure sconosciuti, a prescindere dalla visione che ne abbiamo di essi. Il buio non è altro che un viaggio introspettivo più chiaramente manifestato e che siamo forzati a compiere, in quel momento coscientemente. Mediante l'assenza di luce, il nostro cervello rimpiazza il visibile con immagini mentali, che esistono tanto quanto quelle che assorbe la nostra retina. Anche ciò che vediamo illuminato, è visto, ed esiste realmente per noi in quel momento, come le immagini, a volte più vivide, scaturite dall'oscurità. Ma che dire su ciò che non vediamo, e che ciò nonostante è illuminato, in un luogo in cui non ci troviamo? Non esiste tanto quanto ciò che stiamo vedendo? A cosa dobbiamo quindi credere? Anche questo è un atto di fede, ma non ce ne curiamo perché non siamo obbligati a compierlo, come avviene in caso di assenza di luce e della nostra presenza in un dato luogo.
La paura del buio è totalmente infondata, la coscienza di riconoscere che non possiamo vedere tutto ci spaventa, il viaggio dentro noi stessi comincia. Si ha paura di sé stessi, quindi, ma il timore diminuisce nel momento in cui ci arrivano suggerimenti esterni su quali immagini mentali avere in un dato istante. Ci rassicura l'universalità, proprietà che noi riteniamo possegga la realtà illuminata, che ci fa credere meno soli.
Io credo che riconoscere l'unicità degli individui aiuti l'accettazione e la serenità, e sembra che la corrente vada in senso contrario, ossia che siano i punti in comune i più ricercati, e non le differenze. Questo ci dà un immenso senso di sconforto, ma è naturale non trovare sé stessi negli altri. A volte però, me ne compiaccio.
© Foto di g. c., che rappresenta lo smascheramento di un atto di fede. Dovevo semplicemente credere ci fosse quella busta rosa in quel punto che non riuscivo a vedere, ma ne ho voluto le prove.