giovedì 22 gennaio 2009

AZione?

À quoi bon andare al cinema se posso comodamente fare film con la mia testa?
Tutte storie verosimili, dove fatti e riferimenti a luoghi e persone non sono del tutto casuali. Dove la finzione parte da fatti realmente accaduti e si snoda senza mai esagerare. Perché anche nei miei film non esagero, e me ne pento, perché potrei farlo ma qui come là mi trattengo, per rifugiarmi ancora nell'altrui mitizzazione, ricerca di cecità. E mi rifugio nelle false conclusioni, film dove non c'è né lieto fine né finale tragico, quelli a voi l'epilogo. Riesco in questo frangente a darmi un limite, a vedere in un certo senso dove è bene smettere e a capire il tutto sotto un punto di vista che non sfori il "potrebbe accadere". Ci metto solo un po' più di speranza, mi dò un'altra possibilità, la dò agli altri, facendo finta di nulla. Inconcludenza qui, inconcludenza nella finzione, inconcludenza e basta. Anche se cerco di dare svolte alla mia vita voglio sempre credere che ci sia un fato avverso, prendendomi ancora in giro. Le vocine dentro di me le ascolto e non penso che dicano stupidaggini, per questo sono nervosa, perché conosco la verità e la tengo chiusa in un barattolo. Non mi resta che attaccare qualche altro poster.
Potrei chiedere autografi agli attori delle mie pellicole, e rivendermeli, sarebbe un'idea: ci spenderei un sacco di soldi, ma li riprenderei tutti.
Fare il regista è davvero un brutto mestiere, sempre col megafono in mano e quella ridicola sediolina. Però sul set ti portano il caffè, unica consolazione.

Il me paraît que tout acte porte en lui-même sa justification.

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